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domingo, 29 de abril de 2007

La ricerca dell’interiorità nella poesia di Nilto Maciel (Angelo Manitta)



“Navegador” è una delle più belle e singolari sillogi di poesie di Nilto Maciel, poeta brasiliano che predilige l’astrazione e la metafora: il navigatore è l’uomo che con i suoi occhi scopre il mondo. La predilezione per l’astrazione è già visibile scorrendo soltanto alcuni titoli delle sue liriche: Sogno, Odissea interiore, Riflessioni, Illusioni, Insonnia, Destino, Immagini, Apocalisse. La poesia scorre sul sottile filo della introspezione. Il poeta, infatti, sa guardare dentro di sé come dentro ogni uomo, perché suo intento è rappresentare l’uomo universale e proprio questa sua universalità lo rende grande. Francisco Carvalho, uno dei più importanti poeti brasiliani contemporanei, nel libro “Textos & Contextos” dedica uno studio alla sua opera scrivendo che egli è, senza alcun dubbio, uno dei nomi più rappresentativi della moderna letteratura brasiliana. Autore di racconti, romanzi o poesie, rivela la straordinaria versatilità del suo talento creativo. Egli è un ammirevole scrittore in quanto possiede capacità, immaginazione, invenzione, tecnica narrativa ed espositiva, proprio come deve possedere un buon narratore. L’intreccio della sua finzione è un complesso ingegnoso di contenuti essenziali, sapendo con grande abilità condurre la narrazione o risolvere armoniosamente le situazioni immaginate.

Sobre a poesia de Anderson Braga Horta (Joanyr de Oliveira)


(Anderson Braga Horta)

Em “Toada pra se ir a Brasília” (1), Cassiano Ricardo se confessa impregnado do fastio ante o “azul marítimo”, onde lhe faz mal a paisagem — “Por excesso de azul e sal” — e anuncia peremptório: “Vou-me embora pra Brasília, / sol nascido em chão agreste. / Como quem vai para uma ilha. / A esperança mora a Oeste”. Mas não veio. Jamil Almansur Haddad, tomando o final do citado poema como epígrafe, e lembrando a cantadíssima Pasárgada de Manuel Bandeira, também se revela distanciado amante, dizendo: “Vou-me embora pra Brasília. / Aqui eu não sou feliz. / Lá descobrirei uma ilha. / À sombra dos pilotis.” E, de imediato, arquiteta os planos para a vida nova: “Deixemos a morte e o estrago, / Vamos a um mundo risonho, / Pois se construíram o lago, / Nós construiremos o sonho.” (2) Contudo, assim como o autor de “Jeremias sem Chorar”, Haddad não veio. Quem mais teria cantado a “Capital da Esperança” dentre os que pretenderam vê-la e vivê-la? Não temos conhecimento de outros nomes dentre os nossos poetas dignos de menção. (3)